Donald, Kim e l’impatto dei venti di guerra sulle borse

Mentre tutti ci auguriamo che gli attriti tra il presidente americano Donald Trump e il dittatore nordcoreano Kim Jong-un possano sedarsi il prima possibile, dal punto di vista economico e finanziario è interessante fare una riflessione su come le borse reagiscono in caso di conflitti. Il primo pensiero potrebbe essere quello di un crollo quasi immediato, ma è davvero così? Oggi, purtroppo, non soffia buon vento tra Usa e Nord Corea, ma proviamo ad analizzare cosa potrebbe succedere se i due entrassero davvero in conflitto. Per farlo, partiamo dai comportamenti di Wall Street, considerandolo come uno dei pochi mercati capace di mantenere aperti gli scambi in caso di conflitto, durante le principali guerre del passato. Ovviamente, tenendo in conto la specificità di ogni guerra e del suo periodo storico.

I numeri delle guerre

Durante la prima e la seconda guerra mondiale gli indici di borsa americani sono saliti, rispettivamente del 21,2% e del 23%. Si ritrova lo stesso andamento positivo per la guerra di Corea (+19,6%) e la guerra del Vietnam (+20,5%), più contenuto invece il rialzo delle azioni americane durante le due Guerre del Golfo (fonte Il Sole 24 Ore del 18 novembre 2017).

Perché le borse crescono durante i conflitti?

Nei momenti di conflitto i governi aumentano la spesa pubblica per il rifornimento e il supporto bellico, questo permette di incrementare il business dell’industria militare e aumentare gli utili di queste società. Così l’investitore, attirato dalla possibilità di maggiori guadagni, acquista azioni del comparto, che negli anni delle guerre mondiali rappresentavano una grossa fetta di mercato. Va però precisato che la crescita dei corsi azionari non si realizza durante il conflitto, ma nel momento in cui si calmano le acque in vista della futura ricostruzione: l’effetto illogico che si nota è che durante l’attesa del futuro conflitto i corsi azionari spesso calano, mentre riprendono quota quando la guerra scoppia davvero. Questo effetto può essere spiegato in questi termini: al mercato non piace l’incertezza, per questo motivo nelle fasi di dubbio precedenti lo scoppio del conflitto, aumenta il sali e scendi in borsa e le vendite delle azioni. Quando invece l’incertezza si trasforma in certezza, il mercato si fa più tranquillo e riprendono gli acquisti.

È chiaro che oggi viviamo in un mondo diverso, dove l’evoluzione tecnologica e le armi non sono paragonabili a quelle dei vecchi conflitti e i grossi colossi del mercato non sono più rappresentati dalle imprese belliche, ma dai big delle tecnologie. Alla domanda cosa succederà sui mercati se uno dei leader dovesse fare un passo falso, speriamo non dover dare una vera risposta.

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Maurizio Carelli

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